domenica 25 marzo 2012

Dell'arte, del suo valore sociale, e della sua meravigliosa inutilità


Forse qualcun’ altro oltre a me avrà notato la tendenza generale che accomuna ultimamente festival, rassegne, concorsi e progetti artistici di varia natura: sempre più spesso sono caratterizzati da un elemento di valenza sociale. Non mancano di certo i temi umanitari e sociologici ai quali interessarsi e sui quali incentrare l’argomento di un festival o un bando di concorso, per non parlare di alcuni aspetti politici tipo l’ormai pluricitata democrazia partecipata. Gli argomenti più gettonati in assoluto riguardano comunque le tematiche ambientaliste.

Tutto questo potrebbe essere visto in maniera positiva: in linea di massima è infatti un bene che l’arte si metta al servizio di una causa senz’altro nobile come può esserlo l’ecologia ed utilizzi il suo potenziale in ambito comunicativo, aggregativo e mediatico per far passare messaggi importanti anche attraverso canali non convenzionali. Sono certa che la maggior parte degli enti che si occupano di promuovere l’arte come mezzo espressivo utile per le tematiche sociali, e che l’ adoperano come cassa di risonanza per temi di natura sociologica, sono armati delle migliori intenzioni e senza dubbio degni di lode.

Onore al merito quindi. Ma è sempre così?

Davanti ad una mole considerevole di progetti artistici legati a temi sociali non riesco a non essere colta da qualche perplessità. Per quanto sia vero che quelle che prima potevano essere considerate semplicemente buone pratiche ora stanno diventando emergenze, ed è quindi importante diffondere un certo tipo di cultura consapevole e creare occasioni di riflessione, mi sembra che abbinare sempre la produzione e la diffusione artistica ad una qualche causa sia un po’ pretestuoso. Dato il contesto storico nel quale ci troviamo, ovvero un’ epoca segnata dalla crisi economica e caratterizzata da politiche culturali decisamente spigolose, sembrerebbe quasi che l’arte abbia diritto ad essere valorizzata solo se legata ad uno scopo sociale e non possa permettersi di essere fine a se stessa.

Uno dei rischi è che pur di affrontare tematiche sociali, che a quanto pare sono il sine qua non della produzione artistica, si diffondano argomenti errati o comunque non sufficientemente approfonditi, cadendo nelle trappole della superficialità e dei luoghi comuni. Una sorta di “green washing” artistico. Quello che invece ormai più che un rischio sta diventando una realtà oggettiva è la mancanza del dovuto riconoscimento all’arte in quanto tale.

L’arte non ha già di suo un fortissimo valore sociale? Il valore politico, storico ed educativo non sono anch’essi valori sociali? E il sacrosanto valore estetico?  Non meriterebbe quindi di essere comunque valorizzata anche quando non tratta temi nobili come la green economy o le catastrofi belliche? Non è già di suo nobile? L’arte, e la cultura in generale, non sono forse quello che distinguono l’uomo dagli altri animali?

Un artista ha diritto di sentirsi socialmente utile solo se le sue opere affrontano determinati argomenti? E la programmazione artistica (festival, rassegne culturali ecc) è degna di nota –nonché di finanziamenti- solo se promuove determinati contenuti? Se facciamo un passo indietro nel tempo, non è forse stato uno dei più grandi artisti della storia a definire l’arte come qualcosa di inutile? Io penso che ciò nonostante il mondo risentirebbe della mancanza delle opere di Oscar Wilde!



1 commento:

  1. Sono molto d'accordo, e la mia risposta a tutte le tue domande è: "sì".
    Penso che come artisti siamo chiamati a compiere delle scelte individuali prima che collettive, e le mie scelte finora mi hanno portata a lavorare in progetti che sostenessero la cultura in quanto tale, la libera espressione e l'arte senza intenti educativi e demagogici. Un po' perché non ho la preparazione necessaria a trattare argomenti di utilità sociale, un po' perché non penso sia questo lo scopo ultimo di ciò che faccio, un po' perché non credo che la mia arte e l'arte in generale debbano avere uno scopo ben preciso, men che meno se tagliato sui termini di un bando di concorso, e un po' perché se non sono io a interessarmi per prima all'argomento di cui tratto, il mio lavoro diventa inutile, un compito in classe.
    E non vale la pena svolgerlo, se significa sn
    aturare la propria arte, forzarla, adattarla al volere propagandistico di chi la vuole al servizio di qualcosa.

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