Gli anni 60 sono caratterizzati da un generale benessere
economico e sociale. La gente risente ancora degli effetti benefici del boom
economico, sta bene, è felice o almeno si sente in dovere di esserlo. Proprio
in questo periodo storico inizia a manifestarsi l’idea della conquista dello
spazio. L’universo, complice la
Nasa , viene visto per la prima volta come raggiungibile: un
luogo sconfinato, meraviglioso, che davvero un giorno potrà essere alla portata
dell’uomo. Le persone, serene ed ottimiste, si concedono di sognare: si
commuovono davanti al primo viaggio sulla luna, seguono con entusiasmo il
lancio dei satelliti e guardano al futuro come all’espressione di massima
potenzialità dell’uomo. Tutto questo andrà avanti almeno fino ai primi anni
ottanta non risentendo particolarmente né del Vietnam, né del 68 né del 77. Gli
uomini – e anche le donne, che finalmente raggiungono un certo tipo di
emancipazione –continueranno a credere nel proprio potenziale e a guardare al
futuro con grande fiducia ed aspettativa. La conquista dello spazio è un sogno
finalmente concretizzabile che riempie l’umanità di orgoglio.
Poi cosa succede? Verso la fine degli anni ottanta inizia ad
infrangersi il mito. Non tanto il mito dello spazio, quanto quello dell’operato
umano: la coscienza ecologica mostra un pianeta gravemente danneggiato, le
vicissitudini politiche ed economiche portano ad una crescente preoccupazione e,
va da se, che quando si è preoccupati non ci si concede tanto tempo per fantasticare
tra le stelle. Il sogno dell’uomo nello spazio comincia a sfumare e dopo le
prime foto satellitari anche l’universo comincia a perdere un po’del suo
fascino. Il 28 gennaio 1986 uno shuttle con a bordo anche una maestra di scuola
esplode in volo sotto lo sguardo sgomento del presenti: se non è la fine di un
sogno, ci andiamo decisamente vicino.
E oggi? Oggi c’è la crisi, la delusione, lo sconforto. Il
futuro rappresenta perlopiù una minaccia tanto quanto il presenta rappresenta
una condizione scomoda. Lo spazio e tutto il suo meraviglioso potenziale sembra
ora più che mai lontano. Nell’era dell’insicurezza il passato rappresenta la
stabilità e la tendenza generale, in particolare della moda, è quella di
guardarsi indietro rievocando vecchi splendori con velata nostalgia. L’uomo non
può non essere fortemente disilluso: destabilizzato si interroga sulla sua
potenza e sulle sue prospettive. L’uomo.
E la donna? La donna va avanti. Procede inesorabile, fiera,
se non altro, di essere donna. Abituata alle difficoltà e agli ostacoli, il
futuro per lei è ignoto ma non si fa spaventare dall’incertezza. Quella di oggi
è già la donna del futuro, di un
futuro che fino a poco tempo fa sembrava irraggiungibile: bella nelle sue
diversità, orgogliosa della sua femminilità, padrona delle sue decisioni in tutti
i campi. Non teme né il giudizio né il confronto e rifugge gli archetipi, gli
stereotipi e le etichette. Non si accontenta dei soliti canonici ruoli ma
sperimenta, mescola, spazia. Incarna una femminilità multi sfaccettata, alla
ricerca della propria individualità ed autodeterminazione.
Guardo la collezione autunno – inverno di Balenciaga, realizzata da Nicolas Ghesquière e ispirata a 2001: Odissea nello spazio e mi appare
come un omaggio alla donna contemporanea e al suo avvenire. Non ci vedo né
nostalgia né rimpianto, ma una ventata di ottimismo: lo spazio, simbolo di un
futuro di sconfinata meraviglia, viene riproposto come una possibile iconica bellezza,
ma la donna non è più patinata e monolitica come quella di Kubrick: è morbida,
voluttuosa e valorizzata nel suo essere. Una donna che non ha paura, nemmeno
degli alieni!
Di seguito foto della sfilata di Balenciaga a Parigi
Di seguito foto della sfilata di Balenciaga a Parigi
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