martedì 6 marzo 2012

c'è chi fa il poliziotto, e chi va rapinando pusher


Ed ecco che il mio martedì mattina, già macchiato dalla pioggia, è stato definitivamente rovinato dalla lettura del giornale. In particolare, la notizia che mi ha definitivamente avvelenato la giornata è la seguente: l’arresto di quattro poliziotti con l’accusa di rapine e violenza nei confronti di spacciatori maghrebini.

Ha un bel dire Merola che questa volta “non è la uno bianca”. No, certo che non lo è, nel senso che non siamo ancora a quel livello disgustoso di violenza ed abuso di potere, ma è inevitabile che reati di questo tipo, a Bologna, facciano pensare immediatamente ad una delle pagine di cronaca cittadina più nere.

Ma il problema non è solo lo spettro della uno bianca, quello che mi avvelena e il razzismo su cui si basano questi eventi. Già, perché in una città che, soprattutto sotto la giunta Cofferati, si è riempita la bocca di parole come “legalità” e “degrado” fino a farle diventare quasi degli insopportabili luoghi comuni, chi mai darebbe ascolto ad un pusher nordafricano che cerca di denunciare violenza e rapina per mano delle forze dell’ordine? Le stesse forze dell’ordine che qualche anno fa lanciarono una campagna in stile “chi difende i difensori”, come se le pistole non fossero loro ad averle. Uno degli uomini, sequestrato aggredito e rapinato, si è recato in questura a sporgere denuncia, ma non gli è stato dato ascolto.

E io, pur essendo troppo giovane per ricordarmi bene della uno bianca, ricordo benissimo altre vicissitudini. Ricordo la mia adolescenza trascorsa vivendo nella celeberrima via Petroni. Ricordo di quando c’erano le risse sotto casa, con coltelli e bottiglie. E io avevo imparato che dovevo sì chiamare la polizia, ma non dovevo dire che erano extracomunitari, altrimenti non sarebbero mai intervenuti e avrebbero lasciato che si uccidessero a vicenda.

E ricordo, già che ci siamo, forze dell’ordine decisamente poco accoglienti, che quando ti rivolgevi a loro per fare una semplice segnalazione manco ti ascoltavano se prima non ti facevi identificare. Ricordo una ragazzina tanto punk quanto innocua perquisita per strada (controllo preventivo), o costretta ad alzarsi se si sedeva per terra – dato che non ci sono panchine - in Piazza Verdi a godersi un pomeriggio di sole (decreto contro il bivacco).

Ricordo infine che in via Petroni non mi è mai successo nulla, né di giorno né di notte. E non grazie alle cinquanta volanti paralizzate in Piazza Verdi che non si muovevano mai neanche di un millimetro e che non si sognavano di andare a dare un’ occhiata a quello che succedeva esattamente alle loro spalle. Ma grazie al fatto che in via Petroni c’era sempre gente comune disposta ad intervenire se vedevano una ragazza in difficoltà. C’erano locali nei quali infilarsi se qualcuno ti seguiva e se nel cuore della notte per strada una donna urlava la gente scendeva a vedere cosa stava succedendo. Anche in pijama se necessario. E capitato addirittura che fossero i pusher stessi a redarguire un qualche loro particolarmente molesto “collega” e poi ad accompagnarmi fin sotto casa!

Chi difende i difensori? Chiedetelo ad una Bologna che si è più volte difesa da sola con la solidarietà e che oggi impallidisce davanti ad un tragico fatto di cronaca e ai brutti ricordi.

Ad onor del merito (o semplicemente dello scrupoloso svolgimento del proprio lavoro): Il procuratore aggiunto Valter Giovannini ed il sostituto procuratore Manuela Cavallo che hanno dato credito alle accuse mosse contro i loro colleghi e aperto l’inchiesta.

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