lunedì 27 febbraio 2012

cineasti arcobaleno@visioni italiane


Si è chiuso ieri il festival Visioni Italiane, concorso nazionale per corto e mediometraggi presso il Cinema Lumière di Bologna.

Grande interesse e scalpore ha suscitato la presenza dei Cineasti Arcobaleno con il loro Kinodromo 01, il gruppo dei lavoratori indipendenti degli audiovisivi formatosi in novembre e già attivo e presente sul territorio.

I Cineasti Arcobaleno si riuniscono a cadenza quasi settimanale in assemblee democratiche e aperte a tutti, si interrogano sul presente e sul futuro del cinema indipendente, credono nel cinema come “bene comune” e portano avanti il progetto Kinodromo cercando di elaborare strategie e contenuti per incrementarne la produzione e la fruizione . Hanno realizzato ormai diversi cortometraggi e video virali -cliccatissimi sul web- e riscosso un’attenzione mediatica tale da arrivare fino agli uffici della Cineteca che ha deciso di offrirgli spazio e visibilità all’interno del festival: un gentile invito non si rifiuta mai!

Ho avuto occasione di verificare in prima persona il loro modus operandi partecipando ad alcune loro attività e due sono le caratteristiche che mi sono subito balzate agli occhi come degne di nota: In primo luogo la forte energia creativa, la voglia di fare, di mettersi sempre in gioco mantenendo sempre elevati gli standard professionali.
In secondo luogo l’assenza della rivalità e del desiderio di primeggiare, come se tutti avessero deciso di mettere a tacere il proprio ego a buon pro degli interessi collettivi: non ci sono prime donne (e nemmeno primi uomini). Posso affermare di aver assistito se non ad un miracolo quanto meno ad un’ incredibile alchimia: la presenza sui set di più registi,  più direttori della fotografia,  addirittura la presenza di più set all’interno della stessa location… Tutti spinti da fortissimo spirito di collaborazione, nessun rancore o rivendicazione, solo tanta voglia di lavorare, insieme. Che dire: Cineasti del mondo unitevi, pare che sia possibile.

All’interno di Visioni Italiane, i Cineasti Arcobaleno hanno escogitato maniere decisamente non convenzionali di far sentire la loro voce, portando alle volte la performance live all’interno della sala cinematografica – sede quasi per antonomasia dello spettacolo riprodotto. Il primo giorno hanno fatto sfilare in sala la Santa Insolvenza, mostrando le immagini dell’occupazione del cinema Arcobaleno. Il secondo giorno hanno toccato l’argomento degli spazi, proiettando il cortometraggio Cineasti in Valigia ed invadendo con le loro valige la sala Mastroianni del cinema Lumière. Di notevole impatto l’intervento del terzo giorno, in seguito alla proiezione degli spot sui mestieri del cinema a rischio di estinzione, quando tutti insieme sono saliti sul palco e, traditi a momenti da una genuina emozione (e per fortuna! Perché non so voi ma io sono stufa della gente che parla in pubblico come se leggesse il gobbo e non fosse minimamente coinvolta da quello che dice), hanno chiesto uno spazio ed un aiuto da parte di chi di competenza per continuare a fare cinema a Bologna, annunciando un imminente richiesta di confronto con le istituzioni nel quale venga chiarito una volta e per tutte se la produzione cinematografica è ancora oggetto di interesse; In caso contrario, visto che le valigie le hanno già fatte, decideranno di conseguenza se restare -  valorizzando il territorio (nda) – o partire per lidi meno ostili.
L’ultima proiezione è stata quella di due puntate della “Soap Opera” Il Morbo di Kino,  al termine della quale alcuni membri del collettivo, mescolati tra il pubblico in sala, hanno iniziato a manifestare i sintomi del morbo (una malattia che, nella puntate della soap, colpisce i lavoratori bolognesi del cinema e che si manifesta con violenti spasmi, delirio, e la tendenza ad invocare celebri registi russi).

Ma a destare il maggiore interesse è stato senz’altro il cinema più piccolo del mondo (6 posti a sedere e 4 in piedi, mi pare). Realizzato ad hoc all’interno di un furgone e parcheggiato nel cortile del cinema per tutta la durata del festival. Il kino-truck, ha trasmesso i filmati delle assemblee, i cortometraggi realizzati fino ad ora ed ha offerto la possibilità di lasciare videomessaggi con pareri ed opinioni. Oltre ad avere una discreta fila di persone incuriosite davanti al suo ingresso, ha fatto nascere al suo esterno uno spontaneo salotto sede di confronti, public relations e contatti.

Bravi ragazzi! Questo il link al loro sito dove è possibile trovare maggiori informazioni http://www.kinodromo.org/  

Di seguito qualche foto.


sul set


salottino avanti al kino-truck


bloccando l'entrata!


Kinodoromo

venerdì 24 febbraio 2012

Kinodromo

E stasera, stufa di redigere contenuti per il blog che plachino il mio orror vacui, mollo tutto e me ne vado al Lumiere dove è in corso il festival Visioni Italiane. In realtà la mia attenzione è calamitata dai Cineasti Arcobaleno e dal loro Kinodromo. Di tutto questo vi parlerò più avanti, per il momento mi limito a condividere l'articolo che ho scritto su di loro tempo fa, sempre pubblicato dalla fedelissima rivista "Gagarin,. Orbite culturali" nel numero di gennaio 2012 (http://www.gagarin-magazine.it/)

Buona serata a tutti!


Cineasti indipendenti



Accadde in novembre: I ragazzi di Santa Insolvenza – un collettivo di giovani che operano soprattutto contro il precariato -  occuparono il Cinema Arcobaleno. Per quattro giorni ridettero vita ad una storica sala cinematografica nel cuore di Bologna e da tempo in disuso, restituendolo così, anche se per breve tempo, alla comunità. Diverse realtà del cinema indipendente bolognese offrirono la loro collaborazione. Ne seguirono tre notti di proiezioni gratuite e aperte a tutti: un’ occasione di condivisione tra pubblico e operatori del settore, senza filtri, senza censure e senza compromessi. La sala era strapiena. Un sogno.
Ma il sogno finì con un brusco risveglio: i ragazzi di Santa Insolvenza ebbero lo sfratto e il cinema Arcobaleno fu di nuovo chiuso. Era dunque stato davvero solo un sogno? Qualcuno non era d’accordo…

Il detonatore è stata una semplice mail, fatta girare tra i vari operatori degli audiovisivi presenti sul territorio: un appello lanciato da qualcuno che aveva partecipato al sogno e riteneva fosse possibile trasformarlo in realtà, e non solo per pochi giorni. La risposta non si è fatta attendere: in massa gli operatori degli audiovisivi hanno risposto alla chiamata alle armi dando corpo e voce ad un Movimento.
Sono circa un centinaio. Attualmente si sono divisi in gruppi operativi al fine di costruirsi un identità collettiva e si nutrono del proprio entusiasmo, interrogandosi sul futuro del loro lavoro, sulla possibile riqualifica degli spazi e sul collocamento di prodotti che raramente trovano spazio nel main-stream.

Già compaiono i primi contenuti: Proprio in questi giorni il web è stato invaso da video virali Il primo è stato “Lo strano caso degli uomini in valigia”, volto a sensibilizzare sulle tematiche dello spazio e delle risorse. Sullo sfondo è chiaramente visibile il cinema Arcobaleno con la serranda abbassata.
Il secondo video a fare la sua dirompente comparsa sulla rete è in realtà un progetto di ampio respiro: una “soap opera” intitolata “Il morbo di Kino”. Un morbo che si diffonde portando al delirio i poveri cineasti, già esasperati dalle difficili condizioni lavorative.
Entrambi i lavori hanno avuto grande visibilità, non solo sul web ma anche sulla stampa: addirittura un fake allarmistico presenta il morbo di Kino come una vera patologia che costringe al ricovero ospedaliero due registi.

Attendiamo con ansia il seguito della storia e i possibili eccitanti sviluppi!

Sara Kaufman. "Gagarin. Orbite culturali" gennaio 2012




The Iron Lady


Sono andata a vedere The Iron Lady con la strepitosa Meryl Streep. Nonostante fosse lunedì sera, lo spettacolo delle dieci e mezza e io fossi reduce da una giornata massacrante, il film è riuscito a tenermi incollata allo schermo per tutta sua durata (cosa che, ultimamente, succede sempre più di rado, chissà perché…).

Il film ci mostra una Margaret Thatcher ormai anziana, alle prese con la demenza senile, con la perdita di potere e con l’inevitabile declino, ma determinata a non cedere all’età (figuriamoci!).
La vecchia Maggie soffre di allucinazioni, dialoga col marito morto ormai da tre anni, si rifiuta di svuotare l’armadio del defunto, si dimentica dove sono i figli e cade vittima dei ricordi.
Piano piano inizia a rivivere il suo passato, la sua infanzia di figlia di un droghiere, l’ammissione all’università di Oxford e la vertiginosa ascesa politica.

Decisamente inusuale la scelta della regista Phyllida Lloyd: dare risalto alla sfera intima della Thatcher, al suo rapporto con i figli e col marito. Rappresentare una donna resa fragile dall’età e dalle sconfitte.
Un tentativo, forse, di ammorbidire la Lady di ferro: la donna più odiata del suo tempo, responsabile della chiusura di miniere e acciaierie, del più alto tasso di disoccupazione mai visto, sostenitrice della pena di morte, della legge 28 contro gli omosessuali. La donna che ha mandato a morire i soldati britannici nelle Falklands, che ha lascito morire dieci appartenenti all’Ira durante uno sciopero della fame, che approvava l’uso della violenza da parte dei poliziotti nei confronti degli operai in sciopero davanti alle fabbriche e che, nonostante tutto questo, è riuscita a farsi eleggere per ben tre mandati.
Il personaggio comunque, non ne esce a mio avviso snaturato, anzi, la scelta registica e drammaturgica ne alimentano ancora di più la natura ambivalente facendo emergere il potentissimo carisma del personaggio il quale (grazie anche alla potenza straordinaria dell’attrice che la interpreta) riesce in alcuni momenti anche a fare presa su di noi spettatori posteri.

Ma una domanda mi sorge spontanea: The Iron Lady è arrivato poco dopo il film di Clint Eastwood, J. Edgar, sul capo dell’ FBI Hoover. Anche in questo caso il personaggio era rappresentato in chiave decisamente insolita, con grande attenzione alla sfera privata e sentimentale. Com’è che ultimamente è diventato così di moda fare film su personaggi così, per dirla in maniera diplomatica, controversi? Qual è il messaggio?




Vignetta di protesta contro la Lady di ferro

Profughi, fumetti e teatro


Vi  racconto una storia. La storia comincia con la mia amica Agata Matteucci, storica compagna di follie e collega in deliri vari, la quale, nel lontano 2009, ha la brillante idea di pubblicare un libro. E lo pubblica davvero: “Leo & Lou”, un libro a fumetti che raccoglie 50 tavole autoconclusive che vedono come protagonisti una giovane coppia (Leo e Lou, per l’appunto). La mia amica Agata, mente geniale e sublime disegnatrice, ha però un piccolo problema che rischia di compromettere la promozione del libro: detesta parlare in pubblico! Ma, trattandosi come precedentemente scritto di una mente geniale, escogita prontamente un’ altrettanto geniale soluzione: chiama a rapporto la sua amichetta Sara (cioè io), attrice e notoriamente esibizionista, e le propone di vestire i panni della dolce Lou e di realizzare un piccolo spettacolo teatrale utilizzando alcune tavole del libro. Nasce così “Leo & Lou. Opposti contrapposti”, che vede Agata come regista, Sara nel ruolo di Lou e il tenebroso Vittorio Montipò (in seguito sostituito con l’affascinante Nicola Borghesi) nel ruolo di Leo. Unici elementi scenici un letto (o quanto di più simile) ed un televisore (più o meno funzionante). Lo spettacolo debutta presso la libreria Betty & Books. Seguono innumerevoli repliche in giro per la penisola, delle quali l’ultima risale a settembre 2011.

Tempo dopo Sara e Agata, avendoci preso gusto, danno vita al Collettivo Indipendente Teatro dei Profughi: continuano ad esplorare il connubio tra teatro e fumetto, organizzano eventi artistici interdisciplinari (come dimenticare il mitico Favarama e la rassegna invernale Favanilia), tirano in ballo numerosi altri artisti (in particolare la mitica Bea http://hellobea.blogspot.com/) e realizzano un’altra performance: La scarlatta lettera. Quest’ultima, decisamente diversa da Leo & Lou, è ispirata al celebre romanzo di Hawthorne ed è un libero adattamento della poesia di Pasolini per Marilyn Monroe. Regia, drammaturgia e live act della cupa Sara, vede Agata alle prese con il live painting mentre Luca Garuffi (dj Lagar) si cimenta in un live set.

Il Teatro dei Profughi tornerà presto su questi schermi, intanto qualche foto e il link al sito di Agata, decisamente più completo ed esaustivo del mio!   http://www.agatamatteucci.com/




Leo&Lou



La scarlatta lettera




Tableau Vivant
(installazione e live painting presso Vanilia&Comics)

Torna in scena Fortebraccio Teatro con Ubu Roi

Condivido con gioia e con un sentito in bocca al lupo (oppure con un sentito "merda", come si dice nell'ambiente) quanto notificatomi dall'ufficio stampa della compagnia Fortebraccio Teatro: Roberto Latini (attore e regista romano, nonchè direttore del Teatro San Martino di Bologna) torna in scena con la sua ultima produzione, Ubu Roi di Alfred Jarry, questa volta accompagnato da numerosi altri attori.
Le prossime date dello spettacolo sono:

28 febbraio presso il Teatro Rasi di Ravenna

1,2,3 marzo presso il Teatro delle Passioni di Modena http://www.emiliaromagnateatro.com/

21, 22, 23, 24 marzo presso il Teatro India di Roma http://www.teatrodiroma.net/

Consiglio a tutti quanti, e soprattutto a me stessa, di non perderlo!


Ubu Roi                                                  





Già che ci sono colgo l'occasione per farmi un po' di sana pubblicità e condividere anche una recensione redatta dalla sottoscritta per il precedente spettacolo di Latini, Titanic, pubblicata sul numero di ottobre 2011 della rivista "Gagarin, orbite culturali" http://www.gagarin-magazine.it/




Noosfera Titanic.
Una produzione di Libero Fortebraccio Teatro
Di e con Roberto Latini

Che cos’è la Noosfera? Uno spazio? Un tempo? Oppure la negazione di spazio e tempo? Qualunque cosa sia viene ricostruita sul palco attraverso la scena nuda, spoglia. Pochissimi gli elementi presenti. Spariti i microfoni, le distorsioni vocali ed i congegni elettronici e scenografici che hanno caratterizzato molte sue precedenti produzioni. Sparito tutto quanto. Rimane solo la recitazione, la finzione dichiarata. Il Teatro. Ma anche il teatro stesso, quanto a lungo riuscirà ancora a reggersi in piedi? quanto ci vorrà prima che crolli miseramente in testa all’attore, seppellendolo per sempre? E siamo proprio sicuri che non sia addirittura già crollato?
 “Rompete le righe”. Così si apre Noosfera Titanic, il secondo spettacolo, dopo “Noosfera Lucignolo” del nuovo percorso di ricerca firmato Fortebraccio Teatro. Ancora una volta un’ unico attore: Roberto Latini. Solo. Un vecchio telefono rappresenta l’unico ingannevole contatto col mondo. L‘ acqua, dentro cui Lucignolo arrancava verso nuove possibilità, è stata sostituita da un mucchio di terra bianca e opaca. Un sottile velo nero separa l’attore dal pubblico.
Ancora una volta: “Rompete le righe, rompete le righe”. E ancora, ancora, finchè la voce non viene spezzata dal pianto. Inutile fingere  Inutile raccontarsi che non è successo niente, inutile tentare di rassicurare: Il Titanic sta affondando, trascinando a fondo un’intera generazione di sognatori. Un uomo alla deriva della sua solitudine, simbolo di una civiltà che naufraga. Un attore che ha visto perfettamente arrivare l’iceberg, che ha sentito benissimo lo schianto e che ora non può fare nulla se non continuare a recitare, come l’orchestra del Titanic che suona fino all’ultimo istante, mentre il mondo affonda nella sua stessa melma.
Una figura osserva dall’alto e ride, impietosa e beffarda mentre la sofferenza si fa via via più manifesta. Gli interventi musicali e sonori di Gianluca Misiti contribuiscono a creare un’ atmosfera lugubre, sospesa, surreale.
Un grido di dolore, dall’inizio alla fine. A volte Il grido tenta di amplificarsi con un megafono e di raggiungere finalmente tutte quelle orecchie sorde che si ostinano ad ignorare la tragicità degli eventi, ma lo slancio vitale viene troncato sul nascere. Ed è un gridare alla vita anche lo scavare forsennatamente nella terra per tentare, forse, di salvarsi. Ma dopo essersi sollevata in aria, la terra ricade inesorabilmente simile ad una pioggia bianca ricoprendo la scena, sporcando l’uomo e confondendo la realtà.
Alla fine dello spettacolo, mentre Roberto Latini viene applaudito con sincero calore dal pubblico, io mi ritrovo a ricordare una battuta pronunciata dallo stesso Latini, in suo vecchio spettacolo. Le parole, sia pur dette a suo tempo in un contesto molto diverso, mi risuonano nitidamente nella testa: “Tienimi. Tienimi come quando fa paura”.


Sara Kaufman, "Gagarin, orbite culturali", ottobre 2011


                                                     

please fasten your seat-belt


Vago per la città in cerca di ispirazione, fedele al buon vecchio D. il quale sosteneva che la bellezza salverà il mondo. Inseguo l’arte, fermamente convinta del suo valore estetico, sociologico e politico: in particolare il teatro, la moda e la fotografia.
Fumo, mangio cioccolata, eccedo col rossetto. Mi innamoro di tutti, gioco con gli specchi e con gli orecchini.
Sogno molto, ma i sogni più belli cominciano sempre in sala, quando le luci si spengono, la gente si zittisce e lo schermo si illumina.
Sono nata in estate nella capitale, odio il freddo e amo le metropoli. Mi addormento cullata dal rumore delle macchine e ho paura del buio. Da grande voglio fare la zingara.
Credo nel colore nero, nelle tinte per capelli, nelle lacrime, nelle urla, nei libri e nella musica. Ho creduto a lungo nel punk e nelle calze a rete, poi mi sono svezzata ma l’odore di quel periodo lo porto ancora addosso.
Logorroica e lunatica, a volte sento il bisogno di raccontare e di raccontarmi, di condividere quello che mi piace e mi interessa,  quello che mi emoziona e quello che mi fa schifo.
Questo è il mio blog: welcome on board!

Sara K.