lunedì 11 febbraio 2013

Lamento di una Musa



Ah, la tragica realtà di chi ha consacrato la propria vita all’arte –e agli artisti- per poi doversi scontrare frontalmente con questo mondo carnivoro che tutto si prende e niente regala! Ahimè, la drammaticità degli eventi, quando ti svegli un giorno  e vorresti (e sarebbe anche ora) essere tu ad inforcare pennello e tavolozza e nessuno di tutti quelli che tessevano le tue lodi e si dichiaravano pronti a morire d’amore per te, nessuno, si scomoda ad aiutarti! La disperazione più nera! Quando cerchi di convincere il mondo a guardare anche quello che sai fare tu e non solo quello che puoi far fare a loro! Ah, mondo crudele, destino cinico e baro, quello delle muse…
Perciò Signore e Signori, solo per voi stasera, il “Lamento di una Musa”, composto in una notte d’inverno, mentre la neve ammantava la città, opera veritiera sulla tragicità di un tal ambiguo ruolo.


Note di regia: L’intero testo va recitato in proscenio, con tono rassegnato e distante, come se l’interprete fosse già passata oltre…

Luci: lume di candela

Musiche: strazianti violini e, magari, un’arpa. In caso foste a corto di musicisti mi permetto di suggerire un gruppo rom, composto di violini e fisarmoniche, che tutti i giorni esegue magistralmente il  Canone di Pachelbel in Piazza Dumo a Milano

Costume: naturellement, nudo integrale.


LAMENTO DI UNA MUSA

Di tutti voi sono stata la musa. E ora? Chi si donerà a me? Chi si lascerà osservare, spiare, penetrare e intrappolare per i miei, e solo miei, scopi? Chi mi donerà tempo ed anima?

Vi h offerto i miei sogni, donato i miei pomeriggi e le mie notti. Vi ho regalato il mio sguardo e ho imparato a renderlo tanto potente da  ipnotizzare chiunque e mandare in frantumi qualunque obbiettivo. Questo vi ha incantato, meravigliato, sconvolto, convinti che fosse magia, mentre era solo il frutto di un intenso esercizio, la palestra di ogni musa che si rispetti.

Mi avete guardata, valutata, esaminata sotto tutte le luci possibili. Il mio corpo? Il mio corpo non ha più segreti per voi. Per voi, e solo per voi, l’ho spogliato di abiti e pudori. Ho imparato a controllarne i movimenti, ad addolcirne le forme e le proporzioni oppure, all’occorrenza, a renderlo spigoloso. Ho studiato la mia ombra e ho imparato a farla danzare. 

Ho riso, pianto, ho imparato ad essere sia donna che bambina. Perfino umo ho imparato ad essere. Io conoscevo i vostri desideri prima ancora che li conosceste voi. Mi bastava guardarvi un attimo, sentire un attimo il suono delle vostre voci, per avere già perfettamente chiaro quello che volevate realizzare. E vi mostravo quello che volevate vedere, vi davo la musa che volevate avere.  Ed ero io, da brava musa, ad indicarvi la strada, a prendervi per mano e a trascinarvi nel vortice e a condurvi sani e salvi fino all’uscita. Io. Non vi ho mai lasciati soli.

Ho imparato a controllare i miei movimenti, ad adattarli alle vostre esigenze con la precisione di una coreografia.  Ho modulato la mia voce, modificato il mio respiro, creato melodia coi battiti del mio cuore. Tersicore, Euterpe. Sono stata immobile, per ore ed ore ed ore. Per ore ed ore ed ore non ho sentito freddo, né intorpidimenti, né crampi. Non ho tossito e non ho starnutito. Non mi sono grattata. Praticamente non ho vissuto se non per la mia, la vostra, immobilità. Tutte le pose, anche le più innaturali, ho imparato a renderle così naturali che neanche la natura stessa mi avrebbe potuta fare meglio. Tutta la mia artificiosa naturalezza nelle mie pose, per voi. Ma quando è la musa a voler afferrare il pennello e violentare la tela, chi di voi mi restituirà un po’ di naturalezza? 

Vi ho commosso, eccitato, turbato. Vi ho fatto sorridere, sospirare. E mi avete ringraziata. Coi baci mi avete ringraziata, con le lacrime. Mi avete abbracciata stretta stretta e non volevate più farmi andare via che è sempre triste quando la musa se ne va.  Ma ora, mi ricambiereste il favore?

Di tutti voi sono stata la musa. Di me avete scritto, parlato, raccontato. Del mio corpo avete dipinto, scattato, ripreso. Delle mie parole avete rubato l’essenza. E ora? chi ribalterà il ruolo, per me?

Sipario. 






lunedì 28 gennaio 2013

Galleria Carla Sozzai. Un libro, una mostra.



Ha inaugurato il 12 Gennaio, e rimarrà aperta fino al 10 Febbraio, la mostra dedicata ai 22 anni di attività della Galleria d’ Arte Carla Sozzani. Un anniversario decisamente poco convenzionale, del resto nulla di quanto riguarda questa galleria è mai stato segnato dalla convenzionalità.
Siamo a Milano e corre l’anno 1990. Il capoluogo lombardo risente ancora della corrente “Milano da bere” , la moda è segnata dall’epoca d’oro delle top model (ricordiamo Linda Evangelista, che proprio in quell’anno sentenziò  “Noi non ci svegliamo per meno di 10.000 dollari al giorno”), i giovani stanno per essere sconvolti dalla nascita del movimento grunge e della cultura underground, e il mondo intero sta per essere sconvolto dall’avvento della rete che stravolgerà per sempre il modo di comunicare, lavorare e vivere. L’arte è in un periodo di passaggio, di evoluzione.

E proprio in questo anno di svolta Carla Sozzani  da vita ad una particolarissima galleria nel cuore pulsante del centro della città, al numero dieci di Corso Como.

In maggio Kris Ruhs progetta la sua prima installazione in armonia con le pareti ancora spoglie e in settembre la galleria presenta Louise Dahl-Wolfe, all’epoca ancora sconosciuta. Segue Carlo Molino che sorprende il pubblico con le sue polaroid. E poi Man Ray, Lilian Bassman e Horst P. Horst. Nomi noti all’estero e ai temi ancora sconosciuti in Italia, assolute rivelazioni come la giovanissima Francesca Woodman e astri del firmamento artistico come Annie Leibovitz.

Nel 2010 Carla Sozzani avrebbe voluto celebrare i 20 anni di attività della galleria con la pubblicazione di un volume che raccontasse il suo viaggio nel mondo dell’arte e, in particolar modo, della fotografia.  Il volume iniziò a crescere, le mostre continuarono a susseguirsi e il traguardo fu superato di due anni. Ed eccoci all’alba del 2013, con una mostra tutta da scoprire e un libro fotografico che raccontano, attraverso una selezione degli autori più significativi, questi 22 anni di vita.

La mostra ripercorre, passo per passo ed in parallelo col libro, l’ attività della galleria dettata dalla passione e dalla dedizione della sua direttrice che ha saputo rendere l’arte accessibile a tutti scardinandola dal piedistallo riservato a critici ed operatori del settore. Al centro della sala troneggia un’opera di quello stesso Kris Ruhs e lungo le pareti si susseguono le immagini: fotografie di moda, di architettura, paesaggi urbani, opere meno note ed espressioni immortali, come il commuovente ritratto di Marilyn Monroe realizzato  dal genio di Bert Stern e la “Lonely Doll” di David Lachapelle.
Avvenimenti fondamentali, come “Woodstock” immortalata da Elliot Landy, e spaccati della nostra Italia come la Piazza di Spagna romana degli anni’60 salutata da William Klein e dalle sue modelle.
La donna, spesso protagonista, rivive le sue molteplici ere e le sue infinite sfaccettature attraverso l’occhio indagatore di Helmut Newton, l’eleganza assoluta di Steven Meisel, la magia onirica di Sarah Moon, la sofisticata poesia di Paolo Roversi ed il talento di moltissimi altri. 

Una mostra decisamente importante, non solo per la storia della galleria ma, più in generale, per la testimonianza dell’evoluzione culturale e del costume.

 Il libro, composto da due volumi con oltre 300 illustrazioni e testi di Giuliana Scimè, è in vendita in edizione limitata e numerata (1000 copie).

Vale la pena di visitare la mostra non solo per la notevole esposizione di opere, ma anche per ammirare il contesto in cui è inserita la galleria. Situato in un raffinatissimo cortile, “10 Corso Como” rappresenta  l’essenza dell’interazione tra arte, moda, food e desgn.  Definito dal sociologo Francesco Morace con un termine che più avanti sarebbe diventato di uso comune nel marketing, “concept store” , comprende un negozio di abbigliamento multimarca (assolutamente  ad accesso libero, a differenza di molte boutique di alta moda), una splendida libreria dedicata alla moda e all’arte, un garden-bar e l’esclusivo  Hotel  “Three Rooms”  (con solo tre camere).  L’intero complesso si distingue per il suo design elegante e senza tempo.  Affacciandosi all’esterno è inoltre possibile vedere i nuovi grattacieli e le strutture futuristiche che sorgono nel nuovo quartiere Garibaldi. 



                                                     


Galleria Carla Sozzani: Il Libro









                                                                   
  Installazione






                                                       
 1998: Ralph Eugene Meatyard






                                                        
 2001: David Lachapelle






                                                           
  1996: Helmut Newton




Nessuno meglio di me


In un periodo in cui tutti vogliono essere qualcuno, io non sono nessuno. Ma proprio perché non sono nessuno, sono tutti. Ed essere tutti è meglio di essere qualcuno.

A Milano sono tutti designer. è incredibile. Qualunque professione/hobby/passatempo ecc tu svolga o abbia occasionalmente praticato pare ti dia diritto all'etichetta di designer. Però non si capisce mai tutti questi designer cosa "designano", dove come e quando espongono, se vendono qualcosa e se sì cosa e, in buona sostanza, che cosa fanno da mane a sera. Forse, inconsciamente, sono anche io una designer. Forse siamo tutti dei designer e dobbiamo solo far emergere il nostro design interno. Ma io mi chiedo: gli architetti, i fabbri, gli orafi, i sarti, i modellisti, gli ingegneri edili, i falegnami, gli idraulici, gli elettricisti, i calzolai, gli informatici, i pittori, gli scultori e i muratori che fine hanno fatto?

A Bologna tutti cambiano identità a seconda di come gira il vento. Per esempio, adesso c’è stata Artefiera e improvvisamente erano tutti artisti/collezionisti/studiosi e soprattutto espertissimi di arte. Tutti hanno fatto dell’arte la loro ragione di vita per ben una settimana. Quando un poliziotto picchia un ragazzo, o quando un centro sociale viene sgomberato o gli studenti manifestano in piazza ecco che diventano tutti, ma proprio tutti, di sinistra. Ma non di una sinistra moderata, tipo pd, no, di una sinistra rosso sangue, comunista o anarco-insurrezionalista  e fischia subito il vento e urla la bufera. Poi, quando qualcuno decide di sdoganare parole tipo “degrado” e “legalità”, ecco che improvvisamente diventano tutti reazionari, e basta con ‘sti centri sociali e solidarietà alle forze dell’ordine.

A Parigi sono più coerenti. Lì, molto semplicemente, sono tutti Parigini. Sempre, comunque e prima di tutto Parigini. E questo, in automatico, li rende Qualcuno.

Durante la settimana della moda, a parte i buyer che fanno il loro lavoro,  tutti sono fotografi e giornalisti. Ma di grido eh! mica amatoriali! Di quelli che girano a braccetto con Kate (Moss, ovvio), che vanno a prendere il te con Miuccia (Prada, che domande) e che Franca (Sozzani, naturalmente) li implora di lavorare per lei ma Vogue è decisamente troppo mainstream. E tutti esigono almeno venti accrediti per le sfilate e trenta inviti alle feste. Ma poi foto e articoli?
Fatto sta che questi soi-disant guru delle pr e dei media riescono molto meglio di me ad ottenere quello che vogliono, beati loro. Io chiedo l’invio delle cartelle stampa e spesso non me le mandano, perché io sono nessuno: Ma guardate che a nessuno interessa davvero la vostra attività! 

domenica 25 novembre 2012

Low cost little black dress

How boring can life be. How curious can dreams get.
Climbing the ladder to my upstairs study, feeling ladylike and frigid, dreaming about Paris.

















Scared of the future....












Dress: H&M
Lace tights: Calzedonia
Mary Jane black suede shoes
Necklace: Dior imitation

Photos and set design: Simone Ugolini
Concept, styling, modelling: Sara K.


Once upon a time in a doll's house. Brocken bon ton

I am doll eyes
Doll mouth, doll legs
I am doll arms, big veins, dog bait
Yeah, they really want you, they really want you, they really do
Yeah, they really want you, they really want you, but I do too
I want to be the girl with the most cake
I love him so much it just turns to hate
I fake it so real, I am beyond fake
And someday, you will ache like I ache
Someday, you will ache like I ache

(Hole, "Doll Parts)


















Easy does it........






I fake it so real I am beyond fake....


Dress: Promod
Balck top: Intimissimi
tights: Calzedonia
Earing: Vintage
Ring: personal design item
hair band: accessorize
shoes: Bibi Lou

All photos by Simone Ugolini
Concept, styling, modelling: Sara K

mercoledì 11 aprile 2012

breakfast in the snow


Ormai, nonostante qualche temporale di stagione, possiamo dire che è ufficialmente arrivata la bella stagione. La settimana scorsa il sole ci ha baciato con i suoi raggi, ha fatto caldo e noi tutti abbiamo archiviato i piumini e le giacche pesanti e ci siamo crogiolati nel tepore primaverile.

Ma come dimenticare la storica nevicata che solo pochi mesi fa ha ricoperto la penisola ed in particolare la città di Bologna? Mezzo metro di neve ha ricoperto torri e portici rendendo pressoché impossibili gli spostamenti, creando un miscuglio di magia e disagio ed in generale facendo perdere la bussola ai poveri bolognesi poco avvezzi (nonostante la posizione geografica) alle precipitazioni invernali.

E ne sono successe di tutti i colori! Aziende e pubblici esercizi tutti chiusi per neve. Supermercati presi d’assalto e svaligiati stile preparazione al terzo conflitto mondiale. Cornicioni e grondaie crollati sotto il peso della troppa neve e del troppo ghiaccio. C’è chi si è murato vivo in casa per due settimane, chi ha fatto pupazzi di neve in Piazza Maggiore, chi ha inforcato gli sci di fondo per percorrere i viali, chi è uscito nel cuore della notte per danzare in mezzo ai fiocchi di neve…

Di particolare interesse uno soi-disant artista locale, che ha deciso di organizzare un’ altrettanto soi-disant performance trascinando per le vie del centro una ragazza nuda ma con gli slip d’ordinanza (sia mai che la buoncostume abbia qualcosa da opinare) chiusa dentro un sacco di plastica, dandoci così una chiara visione di cosa oggi venga considerato arte e di quali infiniti progressi abbiamo fatto in materia di tematiche di genere.

Io, che con un certo tipo di artisti condivido al massimo una certa smodata vanità, mi sono limitata a fare colazione sul balcone




poi sono stata colta da un improvviso attacco di caldo





e ho deciso di prendere un po' il "sole" rilassandomi e leggendo Vogue





godendomi la vacanza forzata e i vantaggi del non essere un' artista hipster.

Buona primavera a tutti.


* All photos by Carlo Strata
Post production: Jive Ph.
Ideazione e realizzazione: Sara K.

lunedì 2 aprile 2012

Alessandra Frabetti





La Strega Cattiva

“Mi viene da piangere”. Questo è l’incipit della mia conversazione con Alessandra Frabetti, attrice e docente di recitazione e dizione, militante di stanza a Bologna.
“Signora Frabetti, come lo vede il teatro oggi?” “ Mi viene da piangere”. I fatti proveranno in seguito che la sua è una risposta tutt’altro che circostanziale.

Ma perché quest’attrice, tanto temeraria sulla scena quanto impetuosa nella didattica , piange? Cos’è che le stringe il cuore?

“Dal 1979 in avanti la nostra società è caratterizzata da un grande down di pensiero. L’ avvento della tv commerciale ha causato un tremendo e crescente impoverimento culturale ed intellettuale, e il teatro (specchio della società) ovviamente ne risente. L’ avanguardia teatrale non è niente rispetto a quella che era nei decenni scorsi”.

Io stessa sono stata allieva della Signora Frabetti per un periodo: Come tanti altri ragazzi che studiano teatro a Bologna ho avuto l’onore di farmene urlare di tutti i colori dalla Signora in questione, di farmi tacciare di sciatteria, impeditezza, somaraggine e quant’altro. Ma, a differenza di molti altri miei compagni e predecessori, forse con suo rammarico, non ne sono mai stata terrorizzata. Non che i suoi metodi non fossero abbastanza rudi: è dagli anni ottanta che Alessandra Frabetti sperimenta tecniche terroristiche da utilizzare sui suoi allievi e penso che ormai, a forza di sperimentare, abbia raggiunto la perfezione. Ma non sono mai riuscita a togliermi dalla testa l’idea che tanto livore non potesse nascere che da un profondo amore per il teatro e per il lavoro dell’attore. Una persona capace di amare così profondamente una disciplina artistica che non regala nulla ed un mestiere che si nutre di passioni viscerali non può, ai miei occhi, essere veramente cattiva.

“La decadenza del teatro la si vede al giorno d’oggi anche nel lavoro dell’attore” continua la Signora Frabetti “Ne è una delle tante manifestazioni il proliferare di quello che una volta si chiamava teatro gestuale e che ora -a causa del dogmatismo miope e in malafede che crea dei tabù lessicali (tipo la parola “gesto” applicata al teatro) contribuendo così all’impoverimento- viene chiamato teatro fisico. Un certo di tipo di espressione corporea, a volte, è semplicemente un modo per mascherare lacune attoriali”.  Sostiene inoltre che anche la soi-disant autorialità di alcuni interpreti, a volte decisamente acerba, celi semplicemente l’incapacità di confrontarsi col lavoro dell’attore. “Prima di tutto bisogna saper essere Attori. Poi, eventualmente, autori”

La Frabetti rivolge poi l’attenzione ad un particolare aspetto dell’autorialità teatrale: La creazione artistica legata all’incontro. “Ci sono incontri, sia artistici che privati, legati assolutamente al caso. Altri invece sono frutto di una scelta ben precisa e pienamente consapevole. È necessario avere maturità e consapevolezza per scegliere razionalmente le persone e per far scaturire dall’incontro delle collaborazioni artistiche interessanti e paritarie.” “Certo” Continua poi leggermente lapidaria “è anche possibile fare incontri sbagliati. Il mio è stato decisamente un incontro sbagliato, da tutti i punti di vista. Posso dire, tranquillamente, che sono e sono sempre stata da sola. Niente di quello che ho ottenuto professionalmente lo devo al mio incontro”.

Tornando alla società e alla produzione teatrale, Alessandra Frabetti mi parla di Leo De Berardinis (al quale ha anche reso omaggio in un suo spettacolo, “Shakespeare in Death”). Mi racconta del teatro di Leo come emblema di un periodo che  io, purtroppo, non ho mai potuto conoscere, mi racconta dello splendore della ricerca e dell’innovazione delle epoche trascorse e di nuovo le si stringe il cuore.

“ Sono andata a vedere il Concerto di Nanni Moretti” mi racconta commossa. “E veramente mi viene da piangere se penso a quello che era, a quello che sarebbe potuto essere e a quello che è ora.
Ora che perfino menti geniali si sono imbibite di Berlusconismo e di ipocrisia.” “L’ipocrisia è un vizio alla moda” continua citando di nuovo Leo nel suo monologo del Don Giovanni.

E poi dice una cosa che mi vede pienamente d’accordo “Si è perso il sacrosanto valore della bellezza! Così come esisteva la Kalokagathia, che non a caso ha caratterizzato il momento di massimo splendore nella civiltà ellenica, sono certa che esiste al giorno d’oggi un’antikalokagathia.”. Quanto ha ragione su questo! Concordo pienamente con lei nel dire che se iniziassimo di nuovo a vedere, e anche a sentire, attraverso i parametri della bellezza tutto migliorerebbe. Vale anche per le persone, quando una persona è indegna, per forza di cose è anche brutta. Ne è un luminoso esempio proprio il nostro caro ex presidente del consiglio che, oltre ad essere mostruosamente brutto, ha scaraventato il paese nel culto della bruttezza.

Una domanda però, a questo punto, mi sorge spontanea. Se il panorama è così funesto, perché insegnare recitazione, assumendosi così la responsabilità nel bene o nel male di trasmettere un certo sapere alle generazioni future alle quali potrebbe di conseguenza venire in mente – orrore degli orrori – di fare gli attori in questo cimitero culturale? Per questo mio dilemma la Signora Frabetti ha una risposta molto chiara: “ Se non insegno io lo farà qualcun altro. Quindi tanto vale che lo faccia io” Chiaro no? “Inoltre è importante insegnare. In primo luogo perché non bisogna dare persa la guerra – perché di guerra si tratta- e in secondo luogo perché insegnando si ha la possibilità di trasmettere dei valori, innanzitutto dei valori etici che mettano poi gli allievi in condizione di crearsi dei valori estetici. Io cerco in primo luogo di insegnare il rigore e la disciplina.” Già, il rigore e la disciplina. Lei sa vero, Signora Frabetti, che lei ha la fama, nel panorama didattico bolognese, di essere la Strega Cattiva? “ Certo che lo so. E preferisco essere conosciuta così. È difficile fare la Strega Cattiva, sarebbe molto più semplic essere più tolleranti e meno rigorosi. Ma io sono figlia di Streghe Cattive, una fra tutte la Signora Messeri (Teatro Stabile di Genova). Non ho conosciuto altri metodi per la didattica e sono certa che questo sia l’unico metodo possibile. Inoltre bisogna preparare i ragazzi al mondo lavorativo esterno. Il lavoro dell’attore è un lavoro duro, difficile. Inoltre non mi è quasi mai capitato di lavorare con un regista senza subirne le invettive quindi è meglio che ci si abitui fin dalla scuola”.

E adesso? Cosa fa ora la Strega Cattiva, nonché attrice decisamente di spicco nel panorama attuale? “Sono tutto sommato soddisfatta del mio lavoro degli ultimi anni. Penso di essere cresciuta molto come attrice. Ma adesso… Ho ancora qualche replica, una commissione importante, ma  nessuna nuova produzione. E come fa un attore a crescere se non lavora?” Termina questa nostra decisamente intensa conversazione dicendo “Ma forse alcune realtà di produzione teatrale non vogliono che gli attori crescano, così non diventano troppo scomodi”. 

Io non aggiungo altro.


La Verità